10×1 “Happy mistakes. Perché ogni errore è una verità svelata”, Antifragile

È molto importante fare errori. Molto, molto importante. Se non ne avessi fatti non sarei l’uomo che sono oggi. (David Bowie)

19 luglio 2016
Registrazioni backing vocals “Parole al vento” (voci guida)

Elisa (nell’altra stanza – davanti al microfono, tra sè): “Credo di aver appena fatto una cazzata”.
Stefano: (sala mixer – comunicazione al talkback): “Hai appena fatto una cosa bellissima, anche se era uno sbaglio”.
Davide: “MAIUNAGIOIA”.

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Una piccola gioia. (Ph: Matteo Sandi)

“Parole al vento”, una delle canzoni di Antifragile, è frutto di una serie di accordi sbagliati al pianoforte. Solitamente compongo con la chitarra, ma il pianoforte o il basso mi danno la possibilità di sperimentare nuove vie che solitamente non sceglierei, e la cosa mi intriga da sempre parecchio.
Non sento la responsabilità di seguire delle regole precostituite non essendo il mio strumento principale, e questo mi rende più libera mentalmente.

Lo spunto dell’incipit, ovvero l’errore creativo (come lo definirebbe Gianni Rodari) o l’happy mistake (come l’ha definito Brian Eno) come nuova opportunità mi ha spinto a fare un po’ di ricerca sull’argomento, ovvero come vengono considerati gli errori nella musica, e di conseguenza nella vita.

Digitando “errori nella musica” su Google escono una serie di risultati che mettono solo in luce l’aspetto negativo di un errore, e questo dà già a pensare sul tipo di approccio che abbiamo nei confronti di un elemento inaspettato e incontrollato.

Se la fortuna e un po’ di collegamenti mentali accomulati negli anni non mi avessero aiutata, la mia ricerca sarebbe finita qui e chiuderei l’articolo dicendovi che un errore è penalizzante e non dovete farne mai, e invece signori… Di errori dovete farne molti. Perché?

1. In ogni errore giace la possibilità di una storia. (Gianni Rodari)

Nella “Grammatica della Fantasia” Gianni Rodari analizza l’errore creativo, soffermandosi sui refusi dei suoi pezzi battuti a macchina e degli errori grammaticali dei bambini.

Da un lapsus può nascere una storia, non è una novità. Se, battendo a macchina un articolo, mi capita di scrivere “Lamponia” per “Lapponia”, ecco scoperto un nuovo paese profumato e boschereccio: sarebbe un peccato espellerlo dalle mappe del possibile con l’apposita gomma; meglio esplorarlo, da turisti della fantasia. Se un bambino scrive nel suo quaderno “l’ago di Garda”, ho la scelta tra correggere l’errore con un segnaccio rosso o blu, o seguirne l’ardito suggerimento e scrivere la storia e la geografia di questo “lago” importantissimo, segnato anche nella carta d’Italia. Un magnifico esempio di errore creativo è quello che si trova, secondo il Thompson (“Le fiabe nella tradizione popolare”, Il Saggiatore, Milano 1967, pag. 186), nella “Cenerentola” di Charles Perrault: la scarpina della quale, in origine, sarebbe dovuta essere di “varie” (una sorta di pelliccia); e solo per una fortunata disgrazia diventa di “vere”, cioè di vetro. Una scarpina di vetro è sicuramente più fantastica di una qualunque pantofoletta di pelo, e più ricca di seduzioni, anche se figlia del calembour o dell’errore di trascrizione.
La stesura di un testo, o l’esecuzione errata di un accordo può portare a una soluzione più affascinante rispetto a quella pre-intesa.
Ecco che qui l’errore è un percorso laterale, una creazione autonoma di cui ci si serve per assimilare una realtà sconosciuta.

2. L’errore può rivelare delle verità nascoste. (Gianni Rodari)

Ridere degli errori è già un modo di distaccarsene.
Curiosamente Susan, mentre stavano andando al concerto dei Daughter qualche giorno fa, in maniera assolutamente casuale ha espresso due concetti “rodariani”, ovvero che per definire una cosa bisogna conoscerne il suo opposto, e che non esistono sbagli, ma scelte che noi consideriamo migliori rispetto ad altre alternative.
Così come in un testo una parola giusta esiste solo in opposizione alla parola sbagliata. Rodari cita spesso la creazioni di “binomi fantastici“, due parole di cui sfruttiamo l’errore (“serpente bidone” al posto di “serpente pitone”) o di un’unica per ricavare una storia fantastica.

Anche qui, sbagliando s’impara, dice un vecchio proverbio. Uno nuovo potrebbe essere che sbagliando s’inventa.

3. Ogni errore è un’opportunità nel jazz. (Stefon Harris)

Alla TED conference del 2011, il vibrafonista statunitense Stefon Harris spiegò, con l’ausilio della sua band, che ciò che può sembrare un errore non è altro che un’opportunità.

Oltre a un’esibizione musicale e una dimostrazione tecnica della sua osservazione, nel video Harris mette in evidenza come una nota suonata dal suo pianista possa essere percepita come un errore e soprattutto, come questa nota “stonata” possa invece diventare una melodia. Il punto del suo discorso è che in generale molte azioni vengono captate come un errore solo perché noi non reagiamo nella maniera opportuna.

Fonte: http://autori.fanpage.it/nella-musica-come-nella-vita-non-esistono-errori/

4. Onora ogni tuo errore come un’intenzione nascosta (Oblique Strategies, Brian Eno e Peter Schmidt)

Rockit riprende alcune dichiarazioni di Brian Eno sulla creazione musicale contemporanea e degli effetti negativi che il massiccio uso di tecnologia può comportare.

La tentazione è di levigare ogni singolo dettaglio. Quando si ascolta una cosa per più e più volte, e magari c’è una parte della batteria che è leggermente meno precisa, allora la si sostituisce con un’altra. L’effetto immediato è di peggiorare quella parte: senza accorgertene tu stai gradualmente omologando l’intera canzone anche se ogni singolo ritmo, o ogni singola parte di chitarra, ti sembrerà perfetta.

Eno prova a spiegare che secondo lui i cosiddetti “happy mistakes”, ovvero gli errori felici capitati per caso all’interno di un brano e che hanno involontariamente suggerito nuovi modi di suonare e nuovi arrangiamenti ai musicisti che li hanno commessi, siano molto importanti per dare la giusta personalità ad una canzone.

Nel 1975 il produttore ed il pittore Peter Schmidt aveva inventato un set di carte intitolato “Oblique Strategies”, nato con l’obiettivo di aiutare gli artisti alle prese con un blocco creativo. Ogni carta contiene un consiglio per superare tale impasse e uno di questi è appunto “Onora ogni tuo errore come un’intenzione nascosta”. Queste carte vennero utilizzate in molte delle sue produzioni, dai Talking Heads a David Bowie (nello specifico “Sense of doubt“, contenuta in “Heroes”).

5. Un errore può diventare arte. (Glitch Art/Glitch Music)

Avete presente i monitor dei videogame o dei tabelloni ferroviari quando, per un errore di sistema, vanno in tilt e tutto ciò che si vede sono dei puntini colorati in movimento frenetico?
Il termine tecnico è glitch e da questi errori nasce la glitch art.


GLITCH #03 – EXHIBIT ALPHA (2001)

Ant Scott dal 2001 ha fatto dell’imperfezione digitale un fattore estetico realizzando dei lavori ottenuti attraverso la forzatura del sistema e il suo conseguente blocco. Al glitch si rifà, inoltre, anche un particolare tipo di musica, la glitch music appunto, che spazia dall’elettronica all’ambient e che consiste nel fondere frammenti musicali con piccoli rumori e altri “errori” acustici, il tutto ritmato nuovamente. Tra gli esponenti Autechre, Fennesz e Aphex Twin.

La cosa interessante è che Ant Scott ha colto una cosa presente e riconosciuta e ne ha ribaltato il punto di vista, ergendo un’anomalia ad arte.
Ha fatto di un’errore una nuova opportunità.
Ha svelato una verità nascosta.
Ha creato una nuova storia.

8×01 “Amore, medicine e chitarrette”, Antifragile

Interrogazione di storia.
“Bene Bonomo, su cosa si è preparata?”
“Beh veramente prof, sugli Assiro-Babilonesi”.
“Molto bene. Mi parli dello slancio vitale di Bergson”.
“Ma come prof…”.
“Beh scusi, fa sempre parte del programma scolastico”.

Ho riassunto in poche parole cosa significa registrare le chitarre in studio con Stefano. Sono sempre stata una precisina, una di quelle che deve studiare la parte cento volte per evitare figuracce, ma soprattutto per non far perdere tempo a chi ho affianco. Invece, dopo aver fatto la brutta copia di come avrebbero dovuto suonare sopra batteria e basso, mi ritrovo a fare tutto daccapo. Al momento.

In quei momenti schizzavo malissimo. All’inizio.
“Non ne sono in grado”.
Adesso è quasi sfidante. Anzi, è sfidante.

I più sanno che il mese di aprile l’ho passato completamente a letto, con la faccia sformata, febbre alta, incapace di camminare. Poi i medicinali sbagliati hanno fatto il resto, bloccandomi le mani, togliendomi il sonno, disturbando pesantemente il mio umore.
Finita la malattia, è arrivato un sovraffaticamento muscolare alla mano sinistra.
Mano quasi ferma per due mesi. Per una che deve registrare le chitarre definitive del suo album praticamente una pacchia insomma.

Ma non mi sono persa d’animo. Ne ho approfittato per fare una cosa.

Da quando ho 15 anni, con tantissimi stop-and-go, studio chitarra elettrica.
Devo essere sincera, non ho mai avuto questa grande mano rock, ma non è stata tutta colpa mia.
Sin dall’inizio le Accademie o le Scuole partono con UNA COSA CHE A ME NON E’ MAI ANDATA GIU’: GLI ASSOLI DI CHITARRA.

Per me l’assolo di chitarra è un atto di egoismo. Lo faccio se necessario, altrimenti fottesega.
Vuoi mettere la chitarra ritmica?

Qualsiasi tipo di insegnante medio (salvo rare ed intelligenti eccezioni) parte dicendoti di ascoltare nell’ordine:
Steve Vai
Joe Satriani
Paul Gilbert
Yngwie Malmsteen
e tanti tanti altri.
Insomma, dei virtuosi.

Poi vai in sala prove con gli amici e non riesci a fare la chitarra ritmica di “Smells like teen spirit“, non hai gusto nella scelta del suono e dei vari stili. Ma shreddi da Dio e fai le pirole a 180bpm.
Poi vai a fare il turnista in studio di registrazione e ti dicono “Vorrei un assolo meno eroico. Fammi una chitarra marcia”. (cit. Alberto Milani). E tu vai in crisi.
Va tutto benissimo.

Beh, dicevamo. L’inferma Erin se ne sta a letto e ne approfitta finalmente per cercare il tipo di suono che le piacerebbe avere. E che cosa fa? Cerca i chitarristi che fanno quel tipo di musica che le piace. E fatalità sono chitarristi che le Accademie non cagano nemmeno di striscio.
Ascolta Jeff Buckley, i Pixies, i Killing Joke, i Sonic Youth, i Joy Division, i Radiohead, gli Stooges, i Cure, i primi U2. Ascolta con grandissima attenzione finalmente i Led Zeppelin e gli Ac/Dc.
Ascolta le ritmiche, prova a riprodurre gli assoli con la voce, ma giusto per sfizio.
Ascolta perché non riesce a suonare, ma le sue mani hanno già nuove idee. E ha dei suoni in testa.

“Questa malattia ti ha fatto veramente bene! Il suono è migliorato tantissimo!”
(Khaled Abbas – il mio insegnante di chitarra MMI, giovedì 26 maggio… Due settimane che non toccavo i manuali)

“L’impressione che ho, sentendoti, è che tu vuoi fare bene il tuo compitino. E’ tutto preciso e a tempo, ma è scolastico. Non mi interessa. Voglio un suono anche sporco, ma di cuore. Voglio sentire le ghost note, il carattere!”

“Suoni staccata. Accompagna il suono fino all’ultimo”
(Stefano, 23 aprile 2016 – registrazioni di “Anima Nera”)

“Pensa a Keith Richards. Questo riff se lo fai tutto a pennate in giù lo ammazzi. Ascoltalo bene. Magari non sarà tecnicamente giusto, ma senti che corpo”
(Stefano, 24 maggio 2016 – registrazioni di “Fango”)

Ogni commento mi faceva diventare sempre più piccola alimentando la voce che sì, ero una chitarrista scarsa.
Ma il mio problema non era la tecnica.
Mancava il collegamento cervello-cuore-mano.
Mancava il “proviamoci, comunque vada”.

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[Una rara foto che ritrae Stefano Pivato non di spalle. Ph: Andrea Bonomo]

Un mese in studio con un istintivo mi hanno dato molto di più di 15 anni di chitarra. Mi hanno insegnato il controllo ma anche l’istintività, la ricerca, l’accettazione di quella voglia di buttare via tutto per rifarlo di sana pianta, la voglia di suonare e di divertirmi. Di lasciarmi andare, finalmente. Chiudo gli occhi e mi diverto.
Dopottutto per me suonare è un’esigenza. La mia frustrazione nasceva dal non fare uscire tutta me stessa.
Per quanto ti dicano le cose, le capisci solo quando ti passa un tram sopra.
Siamo sulla buona strada.

La mano ogni tanto fa male. Khaled mi dice di non darci troppo peso, a volte sono cose psicosomatiche.

E negli ultimi due live, magicamente riesco a fare delle piccole improvvisazioni che non fanno troppo cagare.

“Suoni molto bene la chitarra, complimenti! Che tecnica!”
(Astanti al live al Comarò, astanti al live al Lighthouse Pub probabilmente alticci)

Sia ben chiaro, io sono FELICE di frequentare un’Accademia e dei continui input che riesce a darmi. Khaled Abbas è un insegnante eccezionale. Un altro chitarrista che mi piace un mondo e vi consiglio di frequentare almeno una volta una sua clinic è Alberto Milani.
Ma lo dico per me e per gli altri chitarristi: nessun paraocchi. Formatevi anche esternamente. Siate curiosi per conto vostro, cercate il suono, il cuore, oltre alla tecnica. Ascoltate di tutto e rubate dai vostri chitarristi a piene mani.
Cazzeggiate. Cercate di capire gli accordi usati nel funk, i lick blues, il tempo nel punk, lo sporco del grunge, l’effettistica della new wave o del dark.
Ascoltate gli altri strumenti! I giri di basso dei New Order, le batterie dei Nine Inch Nails, il pianoforte di Tori Amos. Altrimenti sarete come quei musicisti che non sanno suonare senza uno spartito davanti.

Ma che cazzo di bello è successo in questo mese?

Sostieni il mio disco su Musicraiser: perchè e come funziona

Martedì 10 maggio è partita ufficialmente la raccolta fondi per il mio album d’esordio solista, “Antifragile”. Sarà attiva fino al 9 luglio e l’obiettivo di raccolta è 3.500 euro.

Ad ogni quota che deciderete di destinarmi, ci sarà una ricompensa ad hoc studiata per voi, che racconta un po’ della mia storia:
https://www.musicraiser.com/it/projects/5547-antifragile-il-mio-primo-album-solista

Le quote che prenotate saranno effettivamente prelevate dal vostro conto al momento del raggiungimento (o superamento) del traguardo, ma per coloro che non avessero un conto corrente o Paypal è anche possibile fare una raccolta a mano durante i miei concerti (o altro appuntamento) e mi impegnerò a versarli io.

Ho scelto il sito Musicraiser.it perché sono stata io stessa raiser (partecipante) di altri progetti e perché sempre più si dimostra una piattaforma seria ed efficace, capace di dare forma a quello che un tempo poteva essere una semplice utopia, ovvero DARE FIDUCIA A UN MUSICISTA PRIMA CHE LA SUA OPERA SIA COMPIUTA.

Da Musicraiser mi chiedono di raccontarvi una storia, del perché abbia iniziato il crowdfunding ed è molto semplice: non riesco a farcela da sola.

Come ho sempre fatto, vi dirò la verità. Non ho una casa discografica alle spalle disposta a investire su di me, non ho intenzione di partecipare a un talent (ansiosa come sono, morirei alla seconda puntata), non sono ricca di famiglia (ahimè) e realizzare un disco per un’esordiente costa veramente tanto.
Non ho dati da squadernare, non ho views da capogiro su youtube, non ho tette da urlo (o forse sì), non ho nulla se non i miei live in cui convinco le persone, una ad una, ad affezionarsi a me e alle mie storie.

Nel mare magnum delle persone assurde che ho incontrato in questi anni, da promoter a sedicenti manager, giornalisti e compagnia cantante, ho avuto la fortuna di conoscere una persona che mi ha dato fiducia, interpretato i miei pensieri e investito su di me: Stefano Pivato. Lui è il mio produttore artistico ed esecutivo, si è accollato metà delle spese di realizzazione, e solo per questo meriterebbe una vincita da Superenalotto al giorno.

Ecco, vedete, siamo in 2.

Da oggi, grazie a Musicraiser siamo 2 + 31 nuovi co-produttori.

Riconosco che il materiale da farvi ascoltare/vedere sia poco, o mediocre, non è una scusante ma è difficile gestire tutto. Non mi sto occupando solo dei miei concerti, ma di coordinare la grafica del cd ad esempio, o il videoclip di lancio, o la promozione, di procacciarmi date, di spedizioni, di maglie e shopper, di stringere mani di etnie diverse dalla mia. O di studiare le chitarre da inserire nell’album, altrimenti Pivato mi appende come un giaccone.

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Io quando sono finita nel banner di Musicraiser in home vicina a Bjork e ho chiesto i sali

Lo faccio perché ci credo assurdamente. Ma soprattutto perché è la ragione per cui mi alzo ogni giorno e faccio un lavoro extra la sera. Al di là di chi mi dice che c’è crisi, che con la cultura non si mangia… Ok ok, sì. E’ vero. Ma almeno non ho niente da perdere. Almeno, e FINALMENTE, sto facendo qualcosa che mi piace.
E vi giuro, a 30 anni di amici che lavorano e son contenti di quello che fanno li conto sulle dita di una mano. Monca.

Perciò, se non mi conoscete… Venite ai miei concerti. Ne faccio un bel po’ durante la campagna e così potete ascoltare le mie canzoni in anteprima.
Altrimenti fatevi una bella chiacchierata con me. Sentiamoci al telefono, via messaggio, via skype. Vi suono qualcosa. Giuro.
E poi mi valutate se “vi arrivo”, alla X Factor.

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Grazie a tutti coloro che stanno contribuendo/hanno contribuito/contribuiranno!
Ps. Un capito a parte sarà riservato alle RICOMPENSE! :P

#unacanzone02: Io sto bene, CCCP

Io sto bene/ io sto male/ io non so come stare
Io sto bene/ io sto male/ io non so come stare
Non studio non lavoro non guardo la Tv
Non vado al cinema non faccio sport
Non studio non lavoro non guardo la Tv
Non vado al cinema non faccio sport

Sono sempre stata un’allieva modello, con un grande rispetto per le regole e per le persone. Ma in fondo in fondo, ho sempre saputo di essere una ribelle.
Una punk testarda e amorale che rifiuta di vivere convenzionalmente.
Per la sua natura egoista e distruttiva, la tengo a bada da quando sono nata.
Ma c’è.
E poi sono arrivati i CCCP.

2006
L’internet esiste, vado all’Università e io sono povera. Come tanti faccio la pendolare tra Mira e Padova, ogni giorno con lo stesso treno in ritardo, affollato e puzzolente. Ma il viaggio mi permette di scoprire un sacco di nuova musica.
La mia educazione enciclopedica si basa interamente sulla pagina “Le pietre miliari” del sito di Ondarock, dischi fondamentali per vivere meglio, e dato che non ho amicizie particolarmente ferrate nel campo mi fido.
Un po’ mi dispiace non avere un confronto, ma il gusto della ricerca da autodidatta sta proprio nella scoperta individuale, nel trovare poi le derivazioni di un genere musicale, nei successivi paragoni. Da autistica quale sono, mi diverto come una pazza.
Credo sia stato l’anno in cui ho ascoltato in assoluto più disc… (ehm, mp3). Molti non li ho capiti, li ho capiti poi, ma ha aperto di 270° i miei orizzonti musicali (che se ricordate l’articolo precedente, erano di un cruento abate del 1200).

Ondarock ad un certo punto oltre alle “pietre miliari” internazionali inserisce anche quelle italiane.
[ndr: adesso la lista si è inciccionita di un bel po’, ma all’inizio c’erano sì e no 5 titoli]. Oltre ai consueti Battiato, De Andrè, c’è un titolo tra i cinque che solletica la mia curiosità:

“CCCP – 1964-1985 Affinità-Divergenze Tra Il Compagno Togliatti E Noi – Del Conseguimento Della Maggiore Età”

Un titolo lunghissimo. Diverso dai soliti sintetici, striminziti, criptici titoli.
Un titolo da film alla Lina Wertmüller. Questa cosa mi piace tantissimo.
“Affinità e divergenze… Al conseguimento della maggiore età…”
Questa gente parla come me.
E poi è punk. E io, sotto sotto, il punk l’apprezzo.
Cerca il disco, clicca, carica sul lettore mp3 (il dolcissimo Creative MuVo, altro oggetto di culto della mia giovinezza) e via.

Ore 7.26 – Stazione di Mira-Mirano – una giornata imprecisata del 2006
Cuffiette nelle orecchie, drum machine, chitarre taglienti, una voce paranoica che canta recto tono (o al massimo con salto d’ottava) mentre tutto l’impianto cambia. Una voce che recita testi scarni ma graffianti, e a tratti sottolinea più volte dei concetti come se fossero slogan. Mi entrano subito nelle vene, mi sento un brivido lungo la schiena quando qualcuno canta per me “Un’erezione, un’erezione triste per un coito molesto, per un coito modesto/ Spermi spermi indifferenti, per ingoi indigesti/ io attendo allucinato la situazione estrema” (Mi Ami) o “Produci, consuma, crepa/ Produci, consuma, crepa/ Cotonati i capelli, riempiti di borchie/ rompiti le palle/ rasati i capelli/ crepa/ crepa” (Morire) o “Curami, curami, curami/ Prenditi cura di me, prenditi cura di me” (Curami).
Mi regalano tutta la violenza, l’irriverenza e la paranoia di cui ho bisogno.
Le parole che vorrei dire ma che non ho mai il coraggio di pronunciare.
Il canto e la visione della maledetta provincia, per loro l’appunto l’Emilia Paranoica, per me il vergognoso Veneto.

Cuffiette nelle orecchie e arriva lei, la Regina.
La mia canzone preferita IN ASSOLUTO.

Come decidere di radersi i capelli/ di eliminare il caffè e le sigarette/ di farla finita con qualcuno o qualcosa/ una formalità“.
Che senso ha decidere tutto? Che senso ha farla finita con qualcosa? Se smetto con le sigarette, o con le droghe, con una persona, con la vita, sto meglio?
Io sto bene, io sto male, io non so come stare.
L’inno di ogni bipolare, praticamente.
Cosa decide cosa ci fa stare meglio o peggio? E’ una formalità. Una convenzione.
Per la prima volta trovo qualcuno che pensa quello che penso io. Che sono libera di non etichettare sempre uno stato d’animo.

Il mantra “nonstudiononlavorononguardolaTv” anticipa di almeno 30 anni il concetto di neet (Not (engaged) in Education, Employment or Training) e c’è un film che ne spiega il senso.

“Tutti giù per terra”, di Davide Ferrario, tratto dal romanzo di Giuseppe Culicchia.
Il giovane Mastandrea è Walter, un disoccupato che vive a Torino, iscritto all’Università ma con scarsi risultati. Vive la vita a modo suo, con romanticismo e cinismo. In maniera anticonvenzionale.
Walter, un po’ per codardia e un po’ per grande lucidità, non riesce a prendersi le responsabilità che il mondo adulto attorno a lui si aspetta, e dopo aver ricevuto la convocazione per il servizio civile, finisce in un centro di assistenza frequentato da extracomunitari, dove nemmeno lì riesce a sentirsi utile e parte integrante della società.

I CCCP, divenuti in seguito CSI, curano la colonna sonora e prendono parte al film nei panni di una commissione d’esame che boccia Mastandrea all’esame. Il più credibile di tutti è Zamboni. Canali mi fa spaccare.

Ma c’è un altro film dove “Io sto bene” è presente. Un altro film pietra miliare, “Paz!”, di Renato De Maria.

Paz! è tratto dai fumetti del disegnatore Andrea Pazienza e ambientato nella Bologna del 1977. Il film non è lineare, è fatto più a sketch visto che i protagonisti sono gli stessi dei fumetti di Pazienza. Consigliatissimo, da guardare con la felpa “1977” di Joe Strummer addosso.
Colonna sonora di tutto rispetto e segnalo tra gli sceneggiatori troviamo un certo Ivan Cotroneo.

Io sto bene” diventerà poi nei miei anni una suoneria del cellulare legata a un certo numero e a un certo contesto tumultuoso, una valvola di sfogo nei momenti di rabbia estrema, una pregevole cover acustica fatta in un locale veneziano con la mia amichetta Licia Missori. Cambia sempre faccia e significato, ma continuo ad amarla infinitamente.

Vi saluto con l’omaggio più bello mai fattole.

Il paradosso dell’eterno lottatore, Antifragile

A fianco del mio letto, dove ho passato gran parte di queste tre settimane, ci sono un paio di guantoni rossi da pugilato. Li avevo comprati circa un anno fa, quando mi ero messa in testa di fare di kickboxing.

E la feci. Tre mesi di allenamenti durissimi, con tanto di esamino finale.
Fui l’unica a non passarlo.
Me ne andai non appena fu possibile, cambiandomi in fretta e uscendo lesta dalla palestra.
A casa piansi di vergogna e di umiliazione.

Dicevo. A fianco del mio letto, dove ho passato gran parte di queste tre settimane, ci sono due guantoni rosso fiammanti con la scritta “STING” e un paradenti, tutti e tre nella custodia trasparente.

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“Donna forte, malattia forte”.
Eh già, fosse solo la malattia.
Passi che il tuo sistema immunitario di colpo impazzisce, come il mio.
Ogni giorno un dolore diverso, pernicioso e continuativo.
Cominci a dare una cadenzata ritualità oraria a tutte le medicine che devi sciropparti. Ti dà l’illusione di avere il controllo mentale di un corpo che in realtà dentro sta combattendo una battaglia tutta sua e tu puoi solo avere pazienza, avere rispetto, stare a guardare.
Ma davvero, fosse solo la malattia.

Ho passato questi giorni, ma saranno più o meno due anni o poco più, a chiedermi il senso del dolore, della sofferenza, delle difficoltà.
Cosa e chi stabilisce chi può avere una vita tutto sommato facile e chi no.
Chi si sveglia la mattina sorridendo in un giorno senza nuvole, e chi ogni giorno è impegnato a combattere una guerra diversa.

La stra-citata fine de “Le città invisibili” di Italo Calvino ricorda come sopravvivere all’Inferno: accettare di farne parte, oppure, di volta in volta, riconoscere cosa non è Inferno. Certo che scelgo la busta 2.
Inferno per me è la bugia, l’egoismo, la disonestà, l’avidità, la prepotenza.
Non le accetto, ma non perché son dura e pura, ma perché non sono fatta così. Se fossi così mi sputerei dietro.

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

A me hanno dato la spilletta della lottatrice. Quella che si è sudata ogni singolo risultato. Ma non vi dico queste cose per darmi un tono o cosa, no, son proprio così. Son quella che si preoccupa anche dell’avversario. Quella che se proprio proprio ti deve tirare un pugno, ecco, ti spiega prima tutti i perché, punto per punto.

Ecco, penso che…
Il vero senso del dolore non è che ti rende migliore.
Ti rende migliore perché ti rende estremamente ricettivo.
Ti fa accorgere.

Sono stata a letto tre settimane.
Non potevo cantare, non potevo tenere una chitarra in mano.
Però ho potuto ascoltare le canzoni degli altri, commuovermi guardando film d’altri, ridere leggendo libri d’altri.
Sono stata grata del fatto che questi Autori avessero avuto la possibilità di pubblicare le loro opere per darci un po’ di sollievo.

E sono sempre grata quando qualcuno riesce a toccarmi con un verso, una canzone, una frase.
Ogni tanto dico pure “GRAZIE!” a voce alta. Fatelo anche voi.

La cultura e chi la fa sono un atto di coraggio.

Ma gli stronzi che non provano veramente dolore non lo sanno e continuano a svalutarla e a deridere chi la fa nei modi più beceri e villani possibili, e peggio, convincono gli ingenui a fare ugualmente.

Una notte avevo la febbre così alta e un giro così figo di basso in testa che prima di prendere una pastiglia ho registrato tutto sul cellulare.
Una notte non camminavo per l’effetto del cortisone e sono scesa a tentoni per comporre una canzone.
Ogni giorno a letto pensavo al NoShoes Studio e alle chitarre da registrare.
Ho la Musica e le Parole in testa.
Chiedete a un vostro amico creativo se l’arte ce l’ha in testa 8 ore al giorno o un pelino di più.
Questo è amore.
Di più, è la mia Vita. Ciò che mi dà gioia.
Vorrei farvi capire dove sono Verità. E quanto, oltre al mio sistema immunitario, darei per vivere d’arte.

Stronzi che non sapete cos’è lottare, questo è infilarsi i guantoni e scendere sul ring.
Non è fare gli Eroi, è vivere.
Scendere sul ring è anche vedere ogni giorno i risultati peggiorare, o allontanarsi, o svanire, ma non buttare i guantoni perché sai cosa vuoi.
Scendere sul ring è ritrovare il coraggio in chi/cosa non è Inferno e averne cura immensa.
Scendere sul ring è condividere la tua lotta con altri lottatori, e ripartire. Perché non puoi far altrimenti.

Al tempo piansi di vergogna e di umiliazione perché non ero come gli altri.
Ora m’interessa solo di imparare bene a difendermi dagli stronzi, e a dare i calci e i pugni giusti.
Per tutto il resto ho la mia Verità.
Grazie a tutti quelli che si sono presi cura di me. Grazie di cuore.

“Il mondo ti spezza il cuore in ogni modo immaginabile, questo è garantito. Io non so come fare a spiegare questa cosa, né la pazzia che è dentro di me e dentro gli altri, ma indovinate un po’? Domenica è di nuovo il mio giorno preferito! Penso a tutto quello che gli altri hanno fatto per me e mi sento tipo… Uno molto fortunato!”

7×01 “Nove Mesi”, Antifragile

“Guardando il calendario mi sa che uscirà a fine maggio. O a inizio giugno”.
Prima di riprendere ad ascoltare l’ultimo pezzo di batteria editata che Stefano sta ritoccando, me ne vado in bagno.
“Settembre… Maggio”.
Conto con le dita, mentre faccio pipì.
“Settembre, ottobre, novembre, dicembre, gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio. Nove mesi, come un bambino”.
Sorrido sardonica. Ho perso il conto di quanti amici nel giro di questi anni abbiano deciso di sposarsi e mettere su famiglia. Ne è prova tangibile la mia bacheca Facebook: nel 2008 era tutto un cocktail, un concerto a Roma, una festa universitaria, adesso escono foto di torte nuziali, fidanzamenti, pargoli annunciati o in crescita.
La bacheca di Facebook invecchia con me, è un dato di fatto.

L’ultimo articolo che parla del mio album è datato 27 novembre 2015. E nel frattempo Davide “Eulo” ha suonato le batterie vere, registrate ed editate con tanta cura e autismo da Stefano.
Ma soprattutto è scorsa un’immensa quantità di mia Vita in questi mesi. Molta più degli anni precedenti. Dolore, amore, ansia, paura, divertimento. Tutto a velocità 4x. Concerti, concerti, tanti concerti. Un’emorragia continua.

Perché non più scritto? Pigrizia. Censura dei miei pensieri e sentimenti. Paura.

Quando le cose non vanno esattamente come voglio tendo a stare in silenzio.
Alcune cose me le devo proprio scordare.

Scordare (1) = dimenticare
Scordare (2) = privare dell’accordatura il proprio strumento

“Mi sento un disco rotto a dirvi le stesse cose che non vanno, amiche”.
Un disco rotto.

Un’altra risata sardonica.

Ma un’artista, una persona, deve fare i conti anche con i suoi giorni di secca.
Secca, quando non scorre nulla. I mesi-palude in cui sembra in cui non si muova nulla, anzi, ti sembra di sprofondare più giù.
Quando non hai il tempo di fare musica per divertirti, ma diventa una produzione seriale in fabbrica.
Quando non ti permetti una pausa perché il tuo cervello non te lo consente.
Quando butteresti nel pattume mesi di lavoro.
“Sei cambiata. Questo disco ti sta cambiando”
“O sono sempre stata così?”
Una maschera di buona educazione. Se me la tolgo è la fine, è una furia distruttrice.

Cadere, rialzarmi, cadere.
L’album, l’album, l’album.
Forza, energie, stress.
Le mie canzoni, la mia zattera su cui aggrapparmi quando nessun luogo è sicuro.
Fino a perdere le voce, fino a consumarmi l’anima.
Accettare che è giusto sbagliarsi.
Mostrare anche il lato oscuro. Se lo metti in gabbia, diventerà un gigante sempre più mostruoso.

“Se ti liberi tu, liberi anche noi, che siamo tue amiche. Noi ti vorremo comunque bene”.
“Tu sei tutto fuori che un disco rotto. Sei solo tanto, tanto, tanto stupida”.

Allora mi lascio andare: forse mi sono persa. Forse mi sto distruggendo.
O forse mi sto davvero liberando. Si va avanti, adesso.

“Parole al Vento” live a BoxLiveSessions!

E’ difficile spiegarvi quanto “Parole al Vento” valga per me, e quanto valga la persona per cui l’ho scritta. Nel disco a cui sto lavorando la la sentirete diversa: piano, voce e pochissime cose in più. Quasi per scommessa un giorno ho chiesto a Gianluca Gallo di arrangiarla per chitarra acustica. Mi diverte e mi affascina vedere come ogni musicista metta del suo in qualcosa di così fortemente intimo e personale. Giangi poi è un tenerone piacione e quindi gli risulta anche facile.

L’intervista e il format è a cura dei ragazzi di boxlivesessions, e in ogni puntata-chiacchierata coinvolgono amici cantanti, musicisti, scrittori, artisti. Ho avuto l’onore di partecipare alla sesta, in una mattinata freddissima ad Angoli di Mondo a Noventa Padovana (Pd).

alessandro ragazzo_elisa bonomo
(Alessandro Ragazzo and I con i cappotti scambiati, appena dopo la scoperta del potentissimo Pino Mauro)

Non voglio anticiparvi nulla, ma per i più curiosi parlo un po’ dell’album in uscita e dei miei esercizi di vulnerabilità. Spero vi piaccia!