Online il video di “BlackOut!” live a BalconyTv!

Continua la collaborazione con gli amici di BalconyTv Schio (VI), stavolta per registrare rigorosamente on the fly “BlackOut!”, il terzo e ultimo singolo dell’EP realizzato con La Cantina dei Bardi, Terzo Tempo. BlackOut! è una canzone nata come accompagnamento ad uno spettacolo teatrale che ho scritto qualche tempo fa e dedicato al quartiere dell’Arcella, Padova.

Eccovelo qua, fresco fresco di caricamento:

Qualche tempo fa mi ero pure esibita da sola con “Puttana

Enjoy! E se volete potete pure votarlo qui:
http://www.balconytv.com/videos/la-cantina-dei-bardi-blackout

 

5×01 “Ciò che deve accadere accade”, Antifragile

Novembre 2015

Sono stati giorni di entusiasmo e tempesta. Di panico e serenità. Di sconforto e impotenza, ma anche di incontri e scambi intensi. Sembra una banalità, ma scegliere di vivere facendo ciò che si ama migliora di molto i rapporti sociali. E migliora la qualità dei discorsi a tavola. Nel mio caso si tratta di una vera e propria forbice: quando ho uno stipendio fisso mi lamento, divento un’ombra, sono circondata da persone che mi infastidiscono, adesso che lotto per arrivare alla fine del mese sono circondata da persone più o meno lontane che mi vogliono bene senza chiedere nulla in cambio.
La mia indole è sempre portata a ripagarli in un qualche modo, ma per ora posso offrire loro la mia amicizia e le mie parole. O del cibo, molto cibo. Sembra che a loro vada bene comunque.

L’immagine che più mi rappresenta in questo periodo mi raffigura sorridente seduta in cima a un burrone. C’è pericolo e c’è vento, ma io sono serena, aspetto, sento dei passi che si avvicinano. Sono distanti ma in qualche modo mi proteggono. Io non posso tornare indietro, né saltare. Posso solo aspettare e dire la verità, non riesco, non so più mentire.

Sorrido sempre: quando sono nervosa, quando mi imbarazzo, quando voglio esserti vicina. Le lacrime le tengo per me, la mattina presto quando mi sveglio, quando penso a un amico che non c’è più, la notte quando ripenso alle ingiustizie e le dissonanze quotidiane.

In tutto questo grande rumore di fondo il disco cresce, e ci avviciniamo alla fine della pre-produzione. Mancano solo due pezzi, “Parole al vento” e “Domani inventerò“. Ogni volta che ritorno in studio, penso di avere una grande fortuna: in quegli interminabili pomeriggi e sere premo il pulsante “pausa” alla vita. Scappo, gioco, trovo il suono e la dimensione ideale dei miei pensieri.

“Per me rappresentare è vivere di più… E’ aggiungere, è idealizzare, trasfigurare. Aggiungere emozioni alle emozioni, passioni alle passioni… Dove finisce la rappresentazione, finisce la realtà” (Monica Vitti)

Il problema principale è tornare a casa. La macchina che si rompe, i lavori, i soldi, gli ospedali, le prime rughe d’espressione, il primo capello bianco, perciò la conseguente lotta ai segni dell’età, alle prime rughe superficiali e agli inestetismi della cellulite, oddio i 30, studio poco, le cose che perdo, le cose che dimentico… Penso a così tante cose che è difficile ordinare tutto in un discorso logico.

Mi ero preparata un bel discorso, sapete, sul ruolo del produttore. Su come un’intuizione geniale possa far diventare un pezzo reggae una hit disco sbanca-classifiche e lanciare gruppo e relativo disco nell’Olimpo della musica internazionale. Ma poi al solito dimentico la retorica e parlo del superfluo.

parallel_lines_blondie

Chris Stein, il chitarrista dei Blondie, lavorava da due anni su un giro reggae dal titolo Once I had love. Il gruppo la suonava spesso ai concerti, anche in chiave rock. Quando arrivarono in studio per registrare l’album Parallel Lines, il produttore Mike Chapman ascoltò il giro di accordi e l’incipit, rimanendone colpito. “Once I had a love and it was a gas… Soon turned out had a heart of glass. Questa è una potenziale hit. Ma il mercato americano non accetterà mai il reggae. Riarrangiamola in chiave disco, è questo quello che va ora. E bisogna assolutamente cambiare titolo”. Nacque Heart Of Glass. Il resto è storia.

Riascolto le canzoni e gli arrangiamenti, e penso che quest’album sarà come me. Arrabbiato, melanconico, dolce, ironico. Io, che rido tanto, ho imparato a ridere e far ridere per sopravvivivermi. Mi serve come balsamo per togliere le croste dell’umiliazione, della vergogna, dell’inadeguatezza. Le ferite rimarranno sempre, ma la risata mette tutti sullo stesso piano, e per questo l’adoro. Avrò sempre il desiderio di farmi piccola piccola come un fagotto per non farmi notare, ma il ridere di me mi consente una piccola violenza, il mettermi in gioco, il non implodere in me stessa.

Il produttore è qualcuno che vede oltre te. Mette ordine nei tuoi pensieri musicali disordinati e li canalizza in un’unica direzione che sembrava impossibile. Sa trovare il diamante in un ruvido e grezzo pezzo di pietra chitarra e voce. Aggiusta, lima, cesella, cambia, stravolge dove necessario.
Non deve essere una scelta casuale. La ricerca del produttore può essere anche lunga perché devi dargli fiducia totale. Il produttore è un suono, un gusto particolare. E poi, proprio perché la scelta è stata fatta a monte, devi mettere pochissima bocca o nessuna nelle sue scelte artistiche.
Lui/Lei ha il dovere di fare suonare l’album da paura, tu hai il dovere di consentirgli di toccare i tuoi vestiti, le tue parole, il tuo corpo per fare uscire quello che realmente sei, e che inconsapevolmente non conosci.

Penso a Monica Vitti, alla sua voce fragile, roca, eppure sua, distinguibile tra milioni di sussurri e grida.
Penso a me. Non sono Steve Vai. Non sono Christina Aguilera.
Ad un certo punto qualcuno ci prende per mano, e bisogna avere la forza di camminare, nonostante tutto.
E allora lavorerò sui miei difetti, perché proprio in quelli sono io.

Elisa Erin Bonomo il 7 Novembre a Lucky Music per Roland

Cominciamo la settimana con una buona notizia! Il 7 Novembre 2015 sarò a Lucky Music (Milano) in veste di dimostratrice per Roland Italy per il 24° anniversario di apertura del negozio. Non stop dalle 10.00 alle 19.30 a suonare loopstation, pedaliere e multieffetti per la voce. Yay!
L’altra volta è finita così:

PROMOZIONI
– Sconto del 5% su qualsiasi acquisto in entrambi i giorni,
– Centinaia di prodotti in sottocosto con sconti fino al 50% da ogni reparto per tutta la settimana (in negozio e online),
– Finanziamenti in promozione a interessi zero fino al 12 dicembre!

Evento Lucky Music

4×01 “Sabotaggi”, Antifragile

Se dovessi scegliere un verso che mi rappresenta di più nell’album in lavorazione, sarebbe sicuramente “Lorenzo, o come tutti dicean Renzo/ studiava di notte con l’ansia/ di non essere mai abbastanza”.

A parte il riferimento ai Promessi Sposi del trio Lopez-Marchesini-Solenghi di cui sono letteralmente malata (un altare ad Anna Marchesini, subito), “Renzo e Lucia” è la storia dei due personaggi manzoniani trasportati al giorno d’oggi. Mi sono domandata: come potrebbero vivere? Che mestiere potrebbero fare? Chi sarebbe il Don Abbondio della situazione? E soprattutto, vorrebbero ancora sposarsi al giorno d’oggi?

Nel mio testo Renzo è un “jazzista di un certo livello e modesto impiego” (fa due lavori, cassiere in una pizzeria e garzone in una salumeria) mentre Lucia è “ballerina di seconda fila” che per arrotondare fa la commessa. Vivono in un piccolo appartamento e sono troppo impegnati a sopravviversi per capire se si amano davvero. Sono due persone che vogliono/volevano intraprendere una carriera artistica, ma nell’attesa di sfondare si sono trovati un’occupazione diversa da quella che desideravano.

Non ho voluto esplicitare per quale motivo i due non riescano a guadagnarsi da vivere rispettivamente come musicista e ballerina, i motivi sono molteplici, dalla sfortuna a difficoltà di varia natura, al motivo che preferisco in questo periodo.

Renzo e Lucia sono due SABOTATORI. Un po’ come me.

“Sopra o sotto?” (cit.)

Avete presente il film “Inside Llewin Davis – A proposito di Davis” dei fratelli Coen? Per chi non l’avesse visto racconta la storia di Llewyn Davis, musicista folk di talento, che dorme sul divano di chi capita, non riesce a guadagnare un soldo e sembra perseguitato da una sfortuna sfacciata, della quale è in buona parte responsabile. Davis è un antieroe puro come tanti altri personaggi dei Coen, non passa ai provini perché non è un leader, tergiversa, si vede sfilare davanti colleghi che reputa meno bravi di lui.
Anche Llewyn Davis fa parte della grande categoria dei SABOTATORI. Scappa, sceglie di non scegliere.

Ho sempre promesso di essere estremamente sincera sul come mi sento in questo periodo. In queste settimane mi sono fatta prendere letteralmente dal panico, influenzare da migliaia di fattori esterni. Dal fatto che non ho un’etichetta discografica, che non ho un booking, che dovrei fare più gente ai concerti, che non ho network etc.etc. E spesso faccio così: parto con grande entusiasmo e poi quando le cose cominciano a farsi tangibili comincio a vedere in ogni occasione un ostacolo, una difficoltà, qualcosa che mi farà stare male. Mi spavento.
Il mio istinto di autoconservazione comincia a pensare che le cose sono sempre più difficili di quello forse sono, che devo prepararmi al peggio. Ho paura di sprecare tempo e fiato, e il paradosso è che nel momento stesso in cui lo penso sto effettivamente sprecando tempo ed energia in questo tipo di macchinazioni.

Da “La paura più grande” post lungo sul blog di Zerocalcare, uscito il 7 Aprile 2015

Sono una SABOTATRICE quando scelgo di non scegliere. Quando devo per forza complicare il gioco. Quando opto per una cosa che non mi piace, perché posso spartire il mio fallimento con la costrizione sociale. Ed è molto più facile.

Con Stefano siamo a 5 brani su 13 pre-prodotti. Nel gergo dei musicisti la pre-produzione è come la brutta copia di un tema: dopo aver messo a posto la struttura della canzone cominci a capire che ritmo potrebbe avere la chitarra, che groove la batteria, il basso. Si sgrezzano gli arrangiamenti.
Ho passato due giorni tentando di vedere il marcio anche lì. E poi mi sono accorta di una cosa: giorno dopo giorno, Stefano butta giù le batterie e i bassi e mi faccio contagiare dalla sua esperienza e bravura. Comincio ad avere idee sugli arrangiamenti, una visione d’insieme che mi mancava. Sulle batterie, io che con la ritmica non sono mai andata d’accordo, ma robe brutte tipo che a momenti non so cosa sia una cassa e un rullante (buuuh).

Tra tanti aspetti, due cose in musica ti fan capire se sei cresciuta: se riconosci gli errori tecnici e se cominci a “sentire” quello di cui prima non ti accorgevi. La crescita è accorgerti di quello che prima non percepivi.

Mi sono resa conto di essere una SABOTATRICE. Ho tanti amici come me, e strano a dirsi, sono le persone più intelligenti e dotate che io conosca. Sono persone che hanno grandi difficoltà ad amministrare la loro forza, e si perdono. Che spreco, direbbero i più.
Io no. E’ estremamente difficile andare contro noi stessi, ma riconoscerlo intanto è un bel primo passo. Buttatelo fuori, fate un bel coming out e poi prendetevi un bel gin tonic con un amico. Che di gente-ruspa sgrammaticata ne è pieno il mondo, ma voi servite veramente a qualcosa.

Perchè per essere musicisti bisogna essere forti

Ho provato tante volte a chiedermi perché mi piaccia fare musica. Nonostante mi faccia soffrire come un cane e mi faccia fare una vita che la clausura in confronto è uno Spring Break. Perché diciamolo, essere musicista non è una passeggiata.

“Devi essere forte”
E’ vero, l’artista è fragile, perché l’esigenza di fare arte nasce da una mancanza. Ma il termine non deve essere scambiato con debole.
Perché devi essere forte? Enucleiamo insieme le varie fonti di disagio.

Per palati trash finissimi.

1- La GGENTE

Come può la base principale dei tuoi guadagni futuri essere fonte di cotanti problemi?
Attenzione, ho detto GGENTE, non Persone.
La GGENTE solitamente non è dotata di tatto, intelligenza e un minimo di empatia.
La GGENTE è composta da individui insoddisfatti e delusi dalla loro esistenza che senza colpo ferire scaricano su di te le loro invidie, rancori e stupidità. Live o in podcast. Telematicamente o con coltellino a serramanico.
Solitamente la GGENTE è quella che non viene mai a un tuo concerto, non ha mai ascoltato una tua canzone anche per sbaglio, non ha mai visto un tuo videoclip nemmeno di spalle (sia mai comprare un tuo album!), è in pole position sul divano quando parte un talent e sa sempre regalarti le parole giuste. Sa se sei troppo giovane o troppo vecchio. Sa se sei bravo o no. Sa tutto.
Certo, la sua visione della discografia dietro a uno schermo sgranocchiando delle Cipster sicuramente è molto più attinente della tua che stai a sbatterti per trovare date nei locali. Già già.
Ah, loro sono quelli che solitamente dicono “Sì ok musicista, ma che lavoro fai?” o “Ma non è un lavoro serio, non guadagni“. Gettonatissime nei loro discorsi da jet set mondano a Roccella Jonica.

Loro ti osservano. (Vedi foto successiva).

2 – LA SOCIETA’ ODIERNA

Una società stessa che considera la cultura una pezza da piedi svaluta tutto l’indotto ad essa collegata. In Italia esistono pochissimi esempi di luoghi nati esclusivamente per fare concerti, figuriamoci quelli rock. I concertoni grossi? Stadi e palasport. Non propriamente la prima destinazione d’uso, per capirci.
Non andiamo poi nel piccolo, pub con l’acustica di un gabinetto in Autogrill e palchi tenuti su con due bimattoni. Ero presente.
I locali che chiudono, l’assenza di palchi medi.
Le proposte delle radio commerciali? AHAHAH.
Non parlo della SIAE perché sarebbe circonvenzione d’incapace.


E’ accaduto davvero.

3 – GLI ADDETTI AI LAVORI

Etichette discografiche, promoter, agenzie di booking, agenzie di comunicazione, tour manager, produttori, fonici, etc. a volte improvvisati senza nessun tipo di background/formazione adeguata. La Qualunque può dichiararsi “production sound mixer” senza saper nemmeno sapere accendere un sound mixer.
La Qualunque può dichiararsi ufficio stampa mandando qualche e-mail a delle webzine chiedendo di recensire il disco del loro pupillo. Fanno 2000 euro, grazie.
Talent scout che ti contattano via Facebook dicendo “Io posso aiutarti, ho una villa in Sardegna, vieni a farmi compagnia“.
I concorsi canori con 150 euro di tassa d’iscrizione con giuria di qualità che se lo vinci fai Castrocaro-Sanremo in meno di due ore. Vitto, alloggio, viaggio tuo e della giuria di qualità a tue spese.
Soldi spesi -> tanti. Soldi guadagnati e visibilità -> zero.

L’unico concorso per cui andrei in rosso.

4 – I MUSICISTI

Quelli bravi ma inaffidabili e incapaci di interagire con la vita vera. Quelli mediocri che prendono una critica costruttiva come un’offesa alla madre e non ti rivolgono più la parola. Quelli che pacconano a 15 minuti dal concerto, quelli che se c’è un problema che ti riguarda ovviamente non te ne mettono al corrente ma esternano i loro malumori con tutti gli altri del gruppo ad eccezione di te. Quelli che “ti faccio sentire un pezzo mi dai un parere?” e non rispondono o ti arrubbano l’idea. Quelli che stai registrando l’album con relativa promozione e scappano a Londra senza avvisarti dopo 5 anni di intensa collaborazione. Quelli che non ce l’hanno fatta per qualche motivo (il più delle volte per colpa loro) e nell’attesa della loro grande occasione di rivalsa cercano sempre salire nel carretto dei vincitori. Quelli che si fanno molti selfie mentre tu cerchi di sistemare una canzone. Quelli che se ti va bene non rispondono più alle tue chiamate di punto in bianco (ma il loro status su WhatsApp e Facebook è perennemente online), se ti va male riescono pure a spillarti qualche soldo.
Per ogni celebrità ce ne stanno cento nell’ombra. Che solitamente rosicano.

Ero rimasto senza benzina, avevo una gomma a terra, non avevo i soldi per prendere il taxi, la tintoria non mi aveva portato il tight, c’era il funerale di mia madre, era crollata la casa, c’è stato un terremoto, una tremenda inondazione, le cavalette, non è stata colpa mia, lo giuro su Dio!

5 – TE STESSO
Sei anche tu un musicista e sei pieno di paranoie. Spesso non fai mai abbastanza, devi fare di più, non suoni bene, non canti bene, non sei mai stato in grado di fare il tuo lavoro, non sei più in grado di scrivere, hai perso l’ispirazione, è colpa tua, è colpa degli altri, è colpa dello Stato, hai finito i soldi, hai il male di vivere, hai paura di essere felice perché hai paura di perdere la tua vena poetica, non ti senti capito, ti hanno messo pochi like sul video, hai avuto una giornata in cui hai dovuto interagire con la GGENTE, la SOCIETA’ ODIERNA, un ADDETTO AI LAVORI e un MUSICISTA.


Io in un momento di concitata euforia.

Sì, tante volte mi sono chiesta perché non potevo nascere con la voglia di mettere giù piastrelle o saldare tubi. Non ho scelto di essere una musicista, ci sono nata. E come tutte le cose che ami ha i suoi lati negativi (non che fare la social media manager mi abbia regalato alcune chicche come “questa pagina Facebook la gestisce meglio mio nipote gratis” o “vorrei una foto profilo che si illumini a intermittenza“).

La cosa che si avvicina di più a quello che provo quando faccio musica è paragonabile a quando ti innamori follemente di qualcuno e senti che lo stai per perdere. Allora sei disposta a viaggiare in treni sporchissimi e sovraffollatissimi, a prenderti pioggia, vento, neve, a usare i cessi dei locali come camerino per vestirti e truccarti, saltare pasti, dimenticare di idratarti, dormire poco e male, ammalarti, andare in miseria. Perché? Razionalmente tutto sembrerebbe una cazzata.
La musica è l’unico posto dove sto al sicuro (cit. Licia Missori), dove sto bene. I raggi gamma dei talent, della ggente, della società odierna, degli addetti ai lavori, dei musicisti, di me stessa arrivano sempre. A volte rimbalzano sotto lo scudo delle parole di amici musicisti seri e sinceri, a volte colpiscono e fanno tanto male.
Solo che c’è una cosa che chi non è innamorato non capisce: non si può vivere altrimenti.
Io ti amo, Musica.

3×01 “Domani inventerò”, Antifragile

“Ai confini della noia, ci sono tonnellate di idee. Io non guardo la tv, non gioco con gli amici. Lascio semplicemente che il tempo scorra”

1 giugno 2015

Padova, esterno notte. Terrazza di un grande palazzo. Campo lungo. Si intravede in controluce una ragazza  seduta per terra appoggiata ad muro.
Controlla il telefono, osserva il cielo in lacrime.
Una chiamata persa. E’ Chiara, anima affine. Stessa indole, stesse paranoie, stesso modo di vedere le cose.

Nello stesso momento

Città imprecisata, esterno notte. Particolare su una mano che infila una chiave in una toppa. Si allarga l’inquadratura e si vede un uomo di spalle, un po’ ricurvo. PP sul suo volto: lo sguardo è un misto tra il dolente e il rassegnato.
“Chi cazzo me lo fa fare? Qua chiudo tutto”

25 settembre 2015

“Siamo riusciti a buttare giù tutte le chitarre guida, ad eccezione di questo pezzo. Come l’hai accompagnato suona bene, ma sarebbe un arrangiamento troppo scontato… E mi sto scervellando da giorni per capire che carattere dargli per non cadere nel banale. La cosa bella di questi momenti d’impasse è che poi l’intuizione arriva tutta in un botto”
“Speriamo”

1 giugno 2015

“Ohi, ti ho chiamato e scritto prima… Esci stasera?”
“Nel credo di essere nel mood adatto, Chiara…”
“Ehi, che c’è? Qualcosa che non va?”
“L’album non si fa… Sono… Non riesco mai a costruire niente. Distruggo sempre tutto. Non faccio altro che allontanare le persone. Non ho più una casa! Non so che lavoro fare e adesso pure questo album non si fa. Non so cosa voglio, o meglio lo so ma mi cago addosso. Ci ho provato un sacco di volte a ripartire, ma ogni volta succede sempre qualcosa e non ce la faccio più Chiara, credimi. Ogni volta si aggiunge sempre qualcosa, e sono stanca. Non ho più forze, questa cosa della casa mi ha letteralmente prosciugata”
“Dai, vengo subito. Dove sei? Passo”
“No, ti prego. Mi conosco, non sarei in grado di parlare”
“Sicura?”
“Sicura”
“Ok… Allora stiamo un po’ al telefono… Prima cosa: cosa mi dici sempre tu? Una cosa alla volta. Nel bene e nel male le cose si risolvono sempre.

La ragazza fissa il cielo. La voce di Chiara è ferma e decisa. Se avesse avuto un bisturi in mano, in quel momento avrebbe eseguito un’incisione perfetta

So che non posso fare e dire nulla per risolvere i tuoi problemi. Ma posso raccontarti una storia. Oggi sono passata in libreria e ho letto un libro per bambini. Si chiama “Domani inventerò” ed è la storia di un orso blu che deve fare un sacco di cose ma le rimanda sempre a domani, perché… Perché ha paura, non ha tempo, insomma si dà un sacco di giustificazioni. E alla fine dice

“Al confine di ogni confine c’è l’ignoto. Se salto, dove andrò? E se c’è qualcosa di brutto? O di sbagliato? E se c’è qualcosa di nuovo?”

Volti pagina e

Spoiler title
l’orso diventa giallo. Finalmente non rimanda a domani, salta.
Credo che la cosa migliore sia decidersi a saltare. Vivere comunque. Sì, è un periodo di merda. Ma per quanto lungo è circoscritto, Eli. E succederà ancora? Sì. Ma sarai cambiata tu, e lo affronterai in maniera differente. So che saprai sistemare le cose.”

Sistemerò le cose.

Ricordo esattamente cos’ho fatto dopo. Mi sono alzata in piedi, sono scesa e mi sono messa a letto.
“Domani inventerò è la metafora della vita artistica. Ogni giorno si deve inventare per vivere. Ci si sente bene solo quando si crea. Cosa potrei fare se fossi felice? Se non posso esserlo, almeno lo immagino”.

Ho preso il mio blocco appunti e ho scritto i primi versi

Non mi sdraierò mai più sul letto / Non piangerò al pensiero che mi sto perdendo tutto
Domani inventerò / Avrò una casa al mare / Avrò da lavorare / E scriverò canzoni allegre / Domani inventerò… Sistemerò le cose
Giovanni Ribisi, non ti voglio mortificare, vergognati (cit.).

1 ottobre 2015

Domani inventerò” ha trovato la sua chitarra guida, merito anche di Cat Power. E’ un testo importante. E’ dedicata a tutte le persone che hanno un’idea di giustizia impossibile nel mondo in cui vivono e si rifugiano nell’immaginazione. Alle persone oneste e baciate dalla sfiga che ogni giorno cercano di vivere con i frutti della loro inventiva. A chi è si è smarrito. A chi si sente (o si è sentito) solo, inadatto, impotente.

Domani inventerò” è un bellissimo libro di Agnese de Lestrade illustrato da Valeria Docampo. Leggetelo: la seconda cosa che farete è procurarvi subito dopo “La grande fabbrica delle parole”.

C’è un paese dove le persone parlano poco. In questo strano paese, per poter pronunciare le parole bisogna comprarle e inghiottirle. Le parole più importanti, però, costano molto e non tutti possono permettersele. Il piccolo Philéas è innamorato della dolce Cybelle e vorrebbe dirle “Ti amo”, ma non ha abbastanza soldi nel salvadanaio. The story of my life, insomma.

Ogni volta che mi sveglio e penso a come guadagnarmi da vivere, ogni volta che una cosa non va, ogni volta che mi sento derisa o incompresa  ogni volta che un acuto non parte o perdo il tempo, ogni volta che non posso esserci, ogni volta che una frase mi esce sbagliata, o per troppo amore non riesco a pronunciarla, penso che il mio emisfero destro mi aiuterà. Me lo ripeto in testa: sistemerò le cose.

Online il video di “Puttana” live a BalconyTv!

Sorpresa! Qualche settimana fa sono stata a Schio (VI) per registrare in presa diretta una delle prossime canzoni del mio album solista, “Puttana”. Ma la particolarità è che stato girato nella casa di una gentilissima signora che mette a disposizione il suo terrazzo per BalconyTv, un format di TV per il web nato in Irlanda circa 7 anni fa.

E’ un progetto musicale che ha l’intento di promuovere la musica in tutte le sue forme prediligendo le produzioni indipendenti e non sotto major o simili, e si tratta di una vera e propria esibizione “in bilico” su un balcone con vista rappresentativa della città (Schio ha la fabbrica alta come scenografia) in cui l’artista o il gruppo si esibisce nalla maniera più acustica possibile uno dei propri brani.
[Ovviamente io come sono andata? Con una chitarra elettrica, un pedale multieffetti con loopstation e un testo pieno di insulti, ndr].
E’ diffuso in tutto il mondo, oltre a Schio in Italia ci sono Messina, Roma, Trieste, Genova e Sassari.

Se vi va, potete votare il video qui: http://www.balconytv.com/videos/elisa-erin-bonomo-puttana

Sarebbe bello fare surfing fra i vari balconi: dopo aver pubblicato un video per una città, e dopo aver fatto passare un po’ di tempo, se si è in una città in cui c’è un BalconyTV ci si può proporre per esibirsi con un brano diverso… Chissà che la cosa non prosegua!

2×01 “Questa bestia nera in me”, Antifragile

15  – 22 settembre 2015

Lo so, dovrei farmi più selfies di me che sto in studio di registrazione, ma in realtà tempo per cazzeggiare ce n’è stato davvero pochissimo, e vi dirò una grande verità: detesto farmi gli autoscatti. Mi imbarazzano a morte ma soprattutto non so farmeli! Prima di uscire un minimo decente devo smerigliarmi la faccia per un’ora e, pigra come sono, molte volte finisco per fotografare le mie chitarre (<3). Riconosco però che essendo Facebook una rete generalista a mò di Rai e Mediaset, un primo piano buca molto di più rispetto a un link intelligente e scavalca gli algoritmi di posizionamento, e perciò per esigenze di copione (cose importanti tipo livedischisessions etc) ogni tanto vi beccherete me fare le cose più inutili, tipo sorridere.
MA NON DIVAGHIAMO.

In queste due settimane Stefano e io stiamo ultimando la prima primitivissima parte in cui capire che taglio dare ai vari pezzi.  Ogni volta il Maestro accende il suo POD e proviamo per ore a capire come sostituire le guide con accompagnamento da chitarra balneare a favore di riff (questi sconosciuti), ritmiche, intenzioni differenti. Siamo stati quasi a rischio Jimi Hendrix in un arrangiamento, peccato non sia passato. E’ fantastico e al tempo stesso allucinante. Ce ne stiamo come due autistici senza parlarci per interminabili minuti e proviamo qualsiasi cosa ci passi per la testa alla tastiera e poi ci confrontiamo. A volte l’intuizione arriva subito, a volte ci stai un pomeriggio e poi distrattamente ti esce l’idea migliore della giornata. Una cosa che ho imparato è che non bisogna affezionarsi troppo alle prime e solo alle proprie idee, perché spesso limitano la ricerca. E’ una rogna cercare il giusto giro dopo 8 ore, ma ne vale la pena.
Ora di canzoni ne mancano solo due, e da come stanno evolvendo le cose verrà fuori una cosa (lo dico piano perché così almeno non capite bene e non ridete forte) alternative rock. Ho sempre ascoltato tonnellate di album del genere, dai Garbage a Pj Harvey, Tori Amos, Fiona Apple, Hole… fino all’ultima scoperta suggerita da Stefano, Juliette Lewis, ma non ho mai creduto di poterlo fare realmente. Ed è una cosa assai strana. Mi spiego meglio.

Tutti pensano che Jimi Hendrix fosse un tipo poco attento alla tecnica e fan del “buona la prima!”, in realtà cercava il suono perfetto fino alla paranoia, sfinendo i suoi stessi compagni dell’Experience nelle lunghissime sessions di registrazione.
Che pezzone. Non avete mai ascoltato l’album dove è presente questa sberla? Male, malissimo.

Sto suonando in una maniera completamente diversa da quanto fatto in questi anni, il che mi fa sentire molto incapace da un lato pratico e dall’altro gasata ai massimi. E’ come se stessi imparando a suonare la chitarra di nuovo. La stessa cosa per il cantato. Sono partita con un’impronta molto rock e cantando in inglese, poi sembrava che non fosse il mio genere e ho ripiegato sull’acustico, che tra l’altro era ed è molto più facile da portare fuori nei locali. Il risultato è aver creato una comfort zone in cui so di fare bene, ma escludo a prescindere una gamma di suoni che magari darebbero la spinta più. Perchè? Bella domanda. Vivo questo momento di RI-creazione sdoppiata tra il “Wow! Suonerà da paura!” a “Oddio, saprò renderlo davvero live? Saprò cantarlo con la giusta intenzione e grinta?“.

comfort_zone

A volte la comfort zone è peggio della friendzone.

Diamo tempo al tempo comunque. Ci sarà il tempo per capire come promuovere l’album, come trovare date, come vestirmi e truccarmi, ma per ora mi preoccupo di suonare bene. E’ come imparare a parlare di nuovo, o meglio, imparare una lingua straniera. Ci vuole un po’ di esercizio, dicono.

La cosa che mi sto ripromettendo da quando ho iniziato è di essere il più sincera possibile, e di prendere tutto come un’occasione buona per imparare. Sono sempre super severa con me stessa, ma ci sta, l’importante è che le incertezze non diventino limiti invalicabili.
E dopo questa chiusa alla Raffaele Morelli, vi saluto, alla prossima!

Ps. Domani controllate il blog, ci sarà una bella sorpresa!